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al testo di Domenico Pelini
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È un giorno uguale a tanti altri giorni precedenti: immerge la mano le sue dita nel catino. Una stella dondola in superficie nel riflesso del tuo volto che si allontana.
(Odore di legni che gridano nel limine del giorno che da quando l’uomo è sulla terra c’è sempre un certo odore di bruciato).
Nella luce che s’asciuga al primo sole, ignaro il tuo destino cammina sopra un filo: una costellazione di piccoli violacei pianeti è nata e invade le tue braccia all’improvviso.
È un giorno uguale a tanti altri giorni precedenti, nel largo d’aria dei colli tra le crepe dove il tempo e le vespe hanno il nido.
Mille anni dopo risuonerà nella conchiglia il suono di quei passi senza ristorno mentre la vita andava incontro a un pigiama tra i delfini appesi a un muro.
Ti scrivo, e la mano trema, tremano le dita , nel ricordo di quella purezza d’ore dove il tempo con te si era sdraiato a guardare le ali della polvere sbatacchiare confuse contro i vetri.
Ti scrivo dentro questa conchiglia che ne racchiude il suono , lo stesso dello schiocco del primo bacio e trema trema anche la faccia e i sogni si fanno pelle, pelle l’anima che prima arrossiva al solo pensiero di una viola.
Sei la memoria rimasta in quella stanza, assopita nel torpore di mondi che passavano veloci tintinnando tra le flebo.
Il tempo ancora di strappare le ultime susine rimaste sopra i rami, ti scrivo ancora in fuga dal contadino, tra le rane e i giunchi e la bici in spalla con Albertino che mi sorpassa lasciando il suo cappello indietro sulla strada.
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